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giovedì 14 novembre 2019

AREZZO: un sabato in giro per la città


Il nostro sabato ad Arezzo è cominciato dal Parcheggio Pietri, ottimo perchè libero (se si arriva per tempo) e attaccato alle mura della città. Appena oltrepassata la porta, senza fare le scale mobili, ma salendo a piedi, si arriva in Piazza San Domenico dove sorge la CHIESA DI SAN DOMENICO che custodisce Il CROCIFISSO DI CIMABUE (1268/71) considerato uno dei capolavori della pittura del Duecento:

In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della Crocifissione con il Christus patiens dipinte verso il 1250 da Giunta Pisano, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo del Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Inoltre esasperò il pittoricismo basato sull'uso di sottilissimi filamenti distesi con la punta del pennello per la resa degli incarnati, realizzando un vigore muscolare e una volumetria mai visti prima. Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nei tabelloni ai lati dei braccio della croce (Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto) e lo stile asciutto, quasi "calligrafico" della resa anatomica del corpo del Cristo.
La somiglianza con il modello giuntesco si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo uno dei crocifissi di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.
Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro (agemina) nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti, un motivo derivato dalle icone bizantine.



Le linee di contorno sottolineano la tensione muscolare e le linee del viso che sono esasperate dalla smorfia di dolore. Sullo schema bizantineggiante Cimabue introduce un accenno al volume con chiaroscuro più deciso e disegna le linee dei panneggi del perizoma in modo da accompagnare le forme del corpo. Alle estremità della croce, i "dolenti" MAdonna e San Giovanni piegano la testa e l'appoggiano alla mano guardando lo spettatore che viene coinvolto nel dramma. Il genio di Cimabue ha saputo comporre con linee e colori una "muta predicatio", una predica senza parole. E non a caso il crocefisso è nella chiesa aretina dei predicatori. E' l'opera meglio conservata di Cimabue. 



In una nIcchia: SAN PIETRO MARTIRE da Verona. 1515/20 opera di Giovanni Della Robbia in ceramica. il santo predicava contro gli eretici e fu colpito a morte. Egli, cadendo scrisse col sangue perterra "CREDO".


Nella cappella di destra: ANNUNCIAZIONE di Spinello Aretino.

Proseguiamo il nostro cammino salendo verso la Cattedrale, passando a fianco di Casa Vasari, altro eminente personaggio di Arezzo.  Sulla piazza si affacciano Duomo e Municipio:


CATTEDRALE DEI SS. DONATO E PIETRO:
Con l'imponenza della sua architettura gotica, esaltata dalla luce delle magnifiche vetrate cinquecentesche e dalle pitture delle volte, l'interno del Duomo suscita emozione al visitatore come l'eleganza del Santuario della Madonna del Conforto, esempio unico di architettura, pittura e scultura neoclassica. Il prospetto è a salienti e segue la suddivisione interna in tre navate. In basso, si aprono i tre portali, ognuno dei quali è strombato e decorato da una lunetta scolpita a bassorilievo; solo il portale centrale presenta anche una ghimberga sormontata da tre statue, ciascuna con proprio baldacchino: in alto Gesù redentore e in basso San Donato (a sinistra) e il beato Gregorio (a destra). In corrispondenza della navata centrale si apre anche un rosone circolare. Il coronamento della facciata è caratterizzato da una decorazione ad archetti pensili.


Ubicata sulla sommità del colle dove sorge la città, è posta sul sito di una chiesa paleocristiana e, probabilmente, nel luogo dove anticamente sorgeva l'acropoli.
La facciata è rifatta nel 1900 mentre la parte laterale è originale e si vede proprio la linea di demarcazione tra vecchio e recente.
La navata centrale termina con una grande abside, costruita nel XIII sec. Essa è illuminata da tre alte bifore chiuse da vetrate, ricostruite dopo che quelle originarie andarono perdute durante la II Guerra Mondiale a causa dello spostamento d'aria provocato da una bomba.



 Sulla controfacciata, vetrata rotonda di Guillaume de Marcillat del 1518, (sue anche le altre vetrate) e raffigura la Pentecoste. Con un diametro di 3,5 metri, venne commissionato dall'Opera del Duomo, il cui nome è presente nella parte inferiore della vetrata. Nella raffigurazione, si vedono gli Apostoli seduti in cerchio con al centro la Madonna affiancata da due angeli; in alto, vi è la Colomba.


ARCA DI SAN DONATO:
Il duomo di Arezzo è ancora intitolato a San Donato e conserva sull'altare principale una pregevole arca marmorea trecentesca a lui dedicata dove è conservato il corpo del santo (la testa si conserva nel busto reliquario presso la Chiesa di Santa Maria della Pieve: 


L'urna di marmo è sorretta da dodici pilastrini terminanti in guglie e pinnacoli gotici, alla cui realizzazione parteciparono artisti senesi, fiorentini e aretini nel corso del XIV secolo.


L'interno dell'Arca con il corpo del Santo: 

Ecco il grandioso cenotafio di Guido Tarlati, vescovo e signore di Arezzo morto nel 1327. Già collocato, fino alla seconda metà del XVIII secolo, nella cappella del Santissimo Sacramento, è composto da un'edicola con una arco a tutto sesto, timpano e pinnacoli gotici, sotto la quale si trovano una serie di sedici bassorilievi narrativi con episodi della sua vita accompagnati da scritte esplicative.


A fianco del monumento si trova la Maddalena di Piero della Francesca di celebre opera realizzata tra il 1460/66, dove un uso sperimentale della luce dà un'innovativa vitalità e forza plastica alla figura, dipinta come se si stesse affacciando da un arco. 


Nella Cappella del Battistero, la decorazione raffigurante il Battesimo è attribuita a Donatello.

Cappella della Madonna del Conforto:


Madonna del Conforto:


Nell'ambulacro di sinistra, sulla parete laterale, vi è una terracotta invetriata di Andrea della Robbia e bottega raffigurante Maria in trono col Bambino fra i Santi Donato, Maddalena, Apollonia e Bernardino da Siena e Dio Padre, risalente al 1493 ca. la sua predella è formata da tre bassorilievi anch'essi in terracotta, raffiguranti, da sinistra: la Comunione di Santa Maria Maddalena, la Natività di Gesù, il Martirio di Santa Apollonia


Usciti dal Duomo scendiamo lungo Via Cesalpino e incontriamo ciò che più ci è caro: la casa in cui visse Guido d'Arezzo, inventore dei nomi delle note musicali:

 «Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes»


 E poi la casa di Pietro Aretino:


Percorrendo le vie dell'Arezzo antica,



Arriviamo alla CHIESA DI SAN FRANCESCO, che custodisce uno dei tesori assoluti della Storia dell'Arte Italiana: Le Storie della Vera Croce di Piero della Francesca: per visitare questa meraviglia occorre munirsi di Biglietto: 8,00 euro intero; 4,00 euro ridotto studenti; 2,00 euro bambini.


Gli affreschi sono posti su tre livelli sulle pareti laterali e sul fondo, senza alcuna intelaiatura architettonica. Le storie della Vera Croce sono narrate dagli avvenimenti della Genesi fino all'anno 628, quando il santo Crocifisso, dopo essere stato rubato, venne riportato a Gerusalemme. Le fonti delle Storie sono la Bibbia e la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, raccolta di agiografie estremamente popolare nel Medioevo e nel Rinascimento, scritta dal vescovo ligure tra il 1224 e 1250. 


Egli non si curò dell'andamento cronologico, privilegiando un criterio meramente estetico-formale, che creasse effetti di simmetria, senza per questo impedire rispondenze filosofico-teologiche tra scene che si fronteggiano. In alto ad esempio, sia nella parete sinistra che in quella di destra è rappresentata una scena all'aperto, mentre nel registro mediano si trovano due scene di corte su sfondo architettonico, e, in basso, due battaglie.  



Nella Chiesa, c'è un crocifisso che ricorda quello che abbiamo visto poco prima di Cimabue. E' infatti opera di un suo allievo:


Abbiamo poi passeggiato senza meta per raggiungere Piazza Grande, dove la visione dell'insieme è stata rovinata da un mercatino in fase di smantellamento.











 Gran finale in Osteria:

lunedì 11 novembre 2019

SAN GIOVANNI VALDARNO: la patria di Masaccio.

Ancora grazie alla musica siamo captati in questo paese che non conoscevamo. Ci era sfuggito, a scuola, che proprio qui nacque uno dei pittori più famosi del Rinascimento, che rinnovò profondamente la pittura nonostante visse solo 27 anni MASACCIO.  Le sue «figure vivissime e con bella prontezza a la similitudine del vero» disse di lui Vasari. Un Giotto reincarnato, dunque. In San Giovanni Valdarno non vi sono opere sue, ma di molti pittori della sua cerchia e di suo fratello detto Scheggia


CASA MASACCIO
Tuttavia, qualcosa di lui resta: la sua casa, Casa Masaccio http://www.casamasaccio.it/, divenuta oggi sede di un importante museo di Arte Contemporanea che raccoglie le opere dei vincitori del Premio Masaccio, tra cui tra cui Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Fernando Farulli, Alberto Moretti, Francesco Guerrieri, Aldo Turchiaro, Sergio Scatizzi. Scaricate la APP per approfondire la visita!
Purtroppo per noi non è stato possibile accedere al Museo, perchè era in allestimento. Speriamo la prossima volta!


L'INGRESSO E' GRATUITO. 
feriali 15-19
festivi 10-12 / 15-19

BASILICA DI SANTA MARIA DELLE GRAZIE:


Alla chiesa si accede attraverso una doppia scalinata; dalla porta centrale, coronata da una lunetta di Giovanni della Robbia del 1513, si giunge all'antica cappella del miracolo.


Nella Basilica e Santuario di Nostra Signora delle Grazie, a San Giovanni Valdarno, si trova, a sinistra dell'altare un affresco in tre scene che illustra il miracolo di Monna Tancia e il cui autore, secondo Vasari, è un allievo del Perugino. Sotto ciascuna scena un'ampia didascalia ricorda la storia di cui fu protagonista la vecchia Tancia...

Era il 1478 quando una pestilenza particolarmente virulenta colpì la Toscana e il Castello di San Giovanni uccidendo gran parte della popolazione del paese. Tra i superstiti un bambino di appena tre mesi, Lorenzo, la cui mamma Santa ed il babbo Francesco erano stati portati via dalla peste lasciandolo solo con la nonna paterna, Monna Tancia di anni 75.

L'estrema povertà della donna e la paura del contagio non permise di trovare alcuna nutrice e così Monna Tancia, disperata, rivolse un'estrema supplica alla Madonna raffigurata all'esterno della Porta del castello detta di S. Lorenzo.
La notte stessa la povera donna sentì miracolosamente sgorgare il latte dai suoi avvizziti seni potendo così nutrire, fino all'età di 22 mesi, il nipotino.

La notizia di tale prodigio si sparse per tutta la regione con un concorso crescente di fedeli. Anche Lorenzo de’ Medici volle essere testimone oculare dell'avvenimento ed accorse di persona. Già nel 1484 fu necessario, per la gran folla di pellegrini, erigere attorno alla sacra immagine, una piccola Cappella, subito detta della Madonna delle Grazie, poi trasformatasi con il passare degli anni nell’attuale Basilica.

Il piccolo Lorenzo, naturalmente prese più tardi i voti come frate francescano morendo, in odor di santità, a Madrid.
 
ANNUNCIAZIONE DI SAN GIOVANNI VALDARNO (BEATO ANGELICO)





MUSEO DELLA BASILICA

TEMPERA SU TAVOLA DEL 1432 ca.
INGRESSO: 2,50/3,50 euro.

DA WIKI: "La scena è composta in maniera simile all'opera ritenuta la prima della serie, L'ANNUNCIAZIONE DI CORTONA, con alcune differenze. Innanzitutto la superficie dipinta invece che tripartita è bipartita, con il giardino ridotto a un affaccio dalle arcate laterali di sinistra. Per fare ciò l'Angelico ha spostato il PUNTO DI FUGA all'interno della casa invece che all'esterno, concentrando maggiormente l'attenzione dello spettatore sull'Annunciazione. Come nell'ANNUNCIAZIONE DI MASOLINO DA PANICALE, anche qui lo spazio appare diviso in due dall'arcata in primo piano e segna una struttura di transizione tra il tradizionale polittico cuspidato medievale e la pala quadrata rinascimentale.

Al centro delle arcate, entro un medaglione, si trova la figura di un profeta, che guarda Maria e tiene in mano un cartiglio che certifica l'avverarsi della profezia.
Rispetto all'opera cortonese la sensibilità cromatica è superiore, con un concerto di colori più ricco, che va dal verde del giardino, al rosa e l'oro della veste dell'angelo, al blu e al rosso di quella di Maria, fino al cielo stellato del soffitto del portico e alle delicate incrostazioni marmoree, che in questo caso, oltre che al pavimento si estendono anche in specchiature sulle pareti.
La Madonna e l'Angelo hanno posizioni e abbigliamento simili alla pala di Cortona, con un maggiore risalto delle luce, che in questo caso è studiata con più cura: sono scomparse infatti le incertezze di provenienza dell'opera di Cortona e l'illuminazione arriva con coerenza dal lato sinistro, dal giardino, illuminando con più decisione i panneggi e l'architettura.
L'effetto d'insieme indugia però maggiormente verso una descrizione festosa dei dettagli, compromettendo il delicato equilibrio mistico della pala di Cortona.
A sinistra, come nell'opera precedente, si vede il giardino allusivo alla verginità di Maria ("HORTUS CONCLUSUS"), popolato da una moltitudine di piante e pianticelle dipinte con grande cura. Tra le specie legate a valori simbolici si riconosce la palma, che ricorda il futuro martirio di Cristo.

In alto, su una collinetta, si trova la CACCIATA DI ADAMO ED EVA dal paradiso terrestre, primo momento di rottura tra l'Uomo e Dio che viene ricomposto proprio dall'accettazione di Maria." 

L'Annunciazione di San Giovanni Valdarno si trovava un tempo nel monastero francescano di di Montecarlo, nei pressi della cittadina toscana in provincia di Arezzo. L'opera diventò, nel 1944, oggetto delle mire del gerarca nazista Hermann Göring, che la voleva per la propria collezione personale e che inviò in Italia il Kunstschutz, il corpo militare che avrebbe dovuto proteggere le opere d'arte dai bombardamenti, ma che in realtà spessissimo, con questa scusa, le prelevava per portarle in Germania. Grazie quindi al lavoro di Siviero, della Soprintendenza e grazie all'aiuto di due monaci del convento, l'opera fu nascosta il giorno prima dell'arrivo dei tedeschi, e oggi possiamo ammirarla nel Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Valdarno.

Altre opere interessanti del Museo:
Trittico di Mariotto di Nardo, dei primi anni del 1400, Trinità tra Vergine e Santa Maddalena:


Madonna con bambino dello Scheggia:

  
Coro di Angeli musicanti dello Scheggia:


Storia di Traiano e la vedova dello Scheggia:


Annunciazione di Jacopo dal Sellaio

Decollazione di San Giovanni Battista (1620) di Giovanni da San Giovanni, pittore di San Giovanni Valdarno:


 CHIESA DI SAN LORENZO:


All'interno di questa chiesa, edificata a partire dal 1300, vi sono affreschi frammentari raffiguranti Sant'Antonio abate, il Martirio di San Sebastiano, San Lorenzo, le Stigmate di San Francesco, Sant'Antonio da Padova e San Bernardino da Siena sono firmati da Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, fratello di Masaccio (1456 circa).




Sopra l'altare maggiore è l'Incoronazione della Vergine e santi attribuita a Giovanni del Biondo (1374 circa).



PALAZZO D'ARNOLFO:


Secondo lo storico aretino Giorgio Vasari, il progetto del Palazzo Di Arnolfo fu del famoso architetto Arnolfo di Cambio. Egli, avrebbe pianificato anche la struttura della città, conferendole un aspetto tipico delle Terre Nuove. Infatti, la città di San Giovanni Valdarno fa parte del progetto di Firenze del 1300, che consisteva nel progettare città con pianta rettangolare aventi una porta in ogni lato e strade perpendicolari che si incontrano in una piazza principale. Il Palazzo svolse funzioni militari e di governo come edificio pretoriale e oggi è sede del museo delle Terre Nuove.


La facciata, forse la parte più rilevante dell'intero edificio, è contraddistinta da oltre duecentocinquanta BLASONI, che rappresentano gli stemmi rimasti di tutti i vicariati della città, dal più antico del 1410 al più recente del 1769. Queste decorazioni sono realizzate in pietra o in ceramica e altri sono scolpiti nei pilastri dell'edificio, o ancora sono dipinti ad affresco. Gli stemmi sono operato della famiglia Della Robbia, sculturi specializzati nella tecnica della terracotta invetriata policroma.

 PIEVE DI SAN GIOVANNI BATTISTA:
Ma San Giovanni Valdarno ci ha riservato anche molte altre sorprese. Nella Pieve IN PIAZZA CAVOUR, si è svolta la I edizione del Concorso Pianistico Humberto Quagliata (http://accademiamusicalevaldarnese.it/index.php/concorsohumbertoquagliata/) :



L'ALLOGGIO:
In questi giorni siamo stati nella splendida struttura Fienile da Primo, 
a pochi minuti dal centro, un'oasi di paradiso. Lo consiglio a tutti anche per visitare comodamente Firenze, Siena o, come abbiamo fatto noi, Arezzo, oltre che naturalmente San Giovanni Valdarno. Un vecchio fienile diventato appartamento su due livelli arredato con gusto. Non manca nulla e c'è anche la piscina. Per noi troppo freddo per usufruirne, ma torneremo da Mauro e i suoi fantastici gatti che hanno reso il soggiorno speciale anche a Giacomo.